Abbiamo visto che impresa è La rappresentazione simbolica d’un proposito. Cos’è la rappresentazione simbolica? E’ l’idea che abbiamo nella nostra testa di una parola. E’ un proposito che inizia a vivere nella nostra mente. E spesso diventa un’ossessione fino a che non prende corpo; abbiamo dei fondatori e delle fondatrici che mi stanno leggendo? Non per forza di un’azienda: si fondano famiglie, disegni, percorsi di studio… La riconoscete quell’idea, quell’impresa, quell’avventura che avete in mente che chiede, anzi pretende di essere messa in pratica, e vi tormenta giorno e notte fino a che non trova una sua realizzazione?
Questo, signore e signori, è il duende, il demone. Quello che sta al principio di tutto.
Il demone non si può spiegare, ma lo si può raccontare: la fonte migliore è senz’altro García Lorca, che in Gioco e teoria del duende narra di un certo cantante di flamenco, il quale, dopo un’esibizione, venne avvicinato da un vecchietto che gli disse:
Tú tienes voz, tú sabes los estilos: pero no triunfarás nunca, porque tú no tienes duende.
La traduzione in italiano è più verbosa, perchè la parola duende è quasi un culturema, una parola non completamente traducibile. Tu hai una bella voce, padroneggi la tecnica, ma non trionferai mai perchè tu non possiedi il demone.
Il demone è poder minsterioso que todos sienten y que ningún filósofo explica: potere misterioso che tutti avvertono e nessun filosofo sa spiegare.
Il demone è qualcosa che sentiamo tutti, che tutti possiamo mettere in gioco, se si trova il modo di ascoltarlo. Quello che tutti sentono, e nessuno sa dire. Quella passione irrefrenabile che si ha fin da piccoli, quel colore dell’anima che sentiamo di avere. Quella strana mancanza che chiama all’azione del suo compimento, attraverso lo strano dolore sordo delle quattro del mattino: è il treno che continua a passare fino a che non decidiamo di prenderlo. Non tutte le vocazioni si realizzano; eppure la vocazione non smette mai di cantare la canzone del demone che la governa.
La maestra che interroghiamo, Adelaide Ristori, ci racconta di suo pugno l’ossessione all’impresa (clicca qui per capire di cosa sto parlando). Il demone, qui, per fortuna, è stato ascoltato.
“la fatica non mi abbatteva mai. Tale e tanta era la mia passione per la scena che quando avveniva che il mio capocomico mi dava una sera di riposo (…) io mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Quando scoccava l’ora in cui doveva cominciare lo spettacolo, si impadroniva di me una tale irrequietezza, tale smania, che nulla valeva a cambiare. Allora misuravo la stanza a lunghi passi (..) entravo nella stanza della mamma , dicendole: “vuoi tu che andiamo a passare un’ora a teatro?” “Eh, andiamoci pure- mi rispondeva- se proprio non ne puoi stare una sera lontana! giunta a teatro, spesso l’umor gaio mi assaliva.”
Per trovare la nostra reale vocazione, dobbiamo non solo individuare la cosa in cui siamo bravi, ma anche l’attività durante la quale ci sentiamo dei pesci nell’acqua. Perfettamente nel nostro ambiente, lisci, guizziamo col cuore leggero e tutto lavora a favore. Quando ti senti un pesce nell’acqua, sei nel posto della tua vocazione. Ristori in questo pezzo racconta testualmente di essersi sentita un pesce fuori dall’acqua quando non si trovava sul palco; i sentimenti qui non mancano di certo. Sentimenti bene indirizzati; le idee sono chiare. Sarà poi la loro messa in pratica, la discesa nel mondo delle cose, la messa in pratica della vocazione, ad essere straordinaria.
PS: Un contributo interessante sul senso della vocazione è questo di TLON